lunedì 3 novembre 2008

Amanda e i Rom

Oggi pomeriggio ho acceso la televisione e mi sono beccato su canale 5 un servizio su Amanda Knox. Ho vinto l’iniziale istinto a cambiare canale perché volevo verificare una sensazione che già più volte avevo provato. Ossia la mitizzazione di questa ragazza che è accusata di omicidio. Mitizzazione in senso letterale nel senso che Amanda è stata in un certo senso sganciata dalla realtà ed inserita in un contesto da fiction, diventando il suo crimine non un atto efferato, ma l’azione di un personaggio e pertanto, sottratto al nostro giudizio morale.
L’autrice del servizio metteva in risalto in primo luogo alcune caratteristiche di Amanda: bella, colta, intelligente, piena di interessi. Perché avrebbe dovuto compiere un delitto? L’equazione è evidente: il bello ricco e colto non può avere istinti omicidi (o magari agire sotto effetto di stupefacenti.), è affare del povero brutto e ignorante. Come inserire allora il delitto in contesto che risulti fruibile dai telespettatori e vendibile dai giornalisti? Solo esasperando il contrasto fra la bellezza, eccetera e la sua condizione di assassina. Il delitto viene traslato in un discorso in cui la povera Meredith è quasi ridotta ad essere un semplice momento necessario allo svolgimento della trama della narrazione su Amanda e il delitto in sé perde di importanza. In questo contesto perde anche di importanza se effettivamente abbia o no commesso il delitto, e la simpatia che traspare per Amanda non è dovuta alla sua natura di accusata ingiustamente, anzi la giornalista criticava la presa di posizione apertamente “innocentista” presa dalla stampa e dall’opinione pubblica americana.
E qui la cosa si fa interessante perché il fatto che Amanda sia straniera, anzi extracomunitaria, rende la vicenda più speziata.
L’osservazione più banale è che la schema classico dell’informazione italiana (lo straniero, oltre ad essere povero ignorante e cattivo, è anche quasi inevitabilmente un criminale, mandiamoli tutti a casa, o perlomeno facciamo in modo che si vedano il meno possibile) non può funzionare per il semplice fatto che Amanda è un’americana o meglio una wasp (white anglo-saxon protestant) il che appunto, fa saltare gli schemi (sarebbe stato interessante vedere la reazione dei media di fronte ad una afroamericana, si potrebbe convincere una a fare un omicidio).
Possiamo complicare un po’ le cose dicendo che in questo caso è lo schema più generale colpa-condanna mediatica è saltato. Non è più in palio la giustizia, il trovare il colpevole, la cosa importante è che la trama sia avvincente. I colpi di scena sono benvenuti perché non c’è in ballo un rito collettivo che necessiti di un capro espiatorio.
Voglio fare un paragone azzardato ma assolutamente pertinente. Qualche tempo fa in Italia si alzò un coro di vibrante protesta quando sulle prime pagine dei giornali venne sbattuta in prima pagina la notizia di una zingara che aveva rubato (tentato di rapire) una bambina. Lo schema interpretativo proposto dai media e subito fatto proprio dagli italiani (non tutti, spero) era quello colpa/condanna. Peccato che la notizia non fosse vera. O meglio i due rom erano stati accusati, passando 4 mesi in galera ingiustamente, ma non avevano tentato alcun rapimento. Della vicenda ha parlato in maniera molto saggia John Foot sull’ultimo numero di Internazionale, in un articolo significativamente intitolato “ladri di verità”.
Naturalmente i giornali, in primo luogo il “progressista” la repubblica, lesto a sbattere i mostri in prima pagina, non hanno dato rilevanza all’assoluzione (verifica facilissima da fare: digitare in google rom rapimento bambini repubblica. Uscirà, come primo risultato la notizia del “rapimento” su repubblica.it e la notizia dell’assoluzione viene data solo da siti di informazione indipendente).
È evidente che lo schema interpretativo era semplicemente quello arci noto del rapimento di bambini da parte di streghe cattive o straniere che conosciamo fin dalla fiabe (hansel e Gretel). È uno schema che fa, ahimè, parte del nostro immaginario collettivo su cui il giornalismo (ma possiamo davvero chiamarlo tale?) fa affidamento per i titoli scandalistici. Purtroppo il giornalismo, che dovrebbe essere parte integrante nella formazione del cittadino razionale soggetto della democrazia liberale (mi sto allargando, ma smetto subito) preferisce invece pescare nel più reazionario e oscurantista immaginario collettivo, creando un circolo vizioso davvero pericoloso: con la notizia che fa proprio un luogo comune e lo rafforza a sua volta, con la sua credibilità e autorevolezza professionale, mentre la notizia vera, l’assoluzione, non trova uno spazio e una forza necessaria per scardinare credenze tanto radicate, anzi non trova spazio proprio per niente…

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